L’actual malice

Chi frequenta i media americani non può non sorprendersi del fatto che sui personaggi pubblici (per i privati cittadini le regole sono diverse) si può dire e scrivere letteralmente di tutto o quasi senza timore di strascichi legali. I personaggi pubblici sono cioè legittimo bersaglio di critiche: a meno che –un «a meno che» gigantesco – una giuria non riconosca che le critiche siano state fatte con «actual malice», con dolo effettivo, mentendo sapendo di mentire per recare danno al bersaglio.

Per questo sulla carta la causa intentata da Depp pareva impossibile da vincere per molti analisti: i suoi avvocati dovevano provare la loro tesi superando quell’enorme scoglio legale, lo standard stabilito dalla Corte Suprema per i casi di diffamazione nel 1964 riprendendo una sentenza del 1908. La Corte Suprema federale, composta da nove giudici nominati a vita dal Presidente, ha un potere enorme: è loro la decisione (unanime) nel caso «New York Times Co. v. Sullivan» del 1964, che protegge la libertà di espressione a patto, per l’appunto, che non ci sia «dolo effettivo», definito dalla Corte come «la consapevolezza che la dichiarazione fosse falsa, o senza badare alla sua veridicità». Gli avvocati di Depp, capitanati dalla straordinariamente brava Camille Vasquez, ce l’hanno fatta.

fonte: corriere della sera

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